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sabato 26 dicembre 2015

Santuario di sant'Antonio di Padova - Chiesa penitenziale del Giubileo della Misericordia della Diocesi di Milano



     Sul finire del 1800, i Frati Minori lombardi, dopo aver subito, come tutti gli altri ordini religiosi, due successive soppressioni, desideravano ristabilire in Milano una loro presenza. Ci riuscirono con uno stratagemma quando - il 1° dicembre 1870 - padre Giancrisostomo Taramelli da Bergamo, Commissario di Terra Santa a Roma, otteneva dalla Santa Sede e dal Governo dell'Ordine l'autorizzazione ad erigere, appena fuori dalle mura cittadine, una casa che fungesse da "ospizio" per i francescani della Custodia di Terra Santa, Ente riconosciuto anche dal neo-costituito Regno d'Italia.
     Nel 1871 si acquistò un terreno "fuori Porta Tenaglia" (poi Porta Volta), tra le vie Farini e Maroncelli e su questo venne edificato il piccolo ospizio che qualche anno dopo già veniva riconosciuto come convento "regolare" e anche casa di noviziato alle dipendenze dei francescani della Provincia Veneta.
     Nel frattempo, il 17 luglio 1873 era stato aperto un piccolo oratorio e il 2 maggio 1875 si poneva la prima pietra di una chiesetta dedicata a Maria Immacolata (la prima chiesa sorta in Milano sotto questo titolo), aperta sulla Via Quadrio (allora Via Mazzini) e che venne consacrata il 1° giugno dell'anno successivo.
     Una grossa novità sopraggiunse il 28 ottobre del 1898 su nuove basi, la "Provincia dei Frati Minori di Lombardia", posta sotto la protezione di San Carlo Borromeo: il conventino fuori "Porta Tenaglia" fu scelto come sede della Curia della neonata Provincia. Nel 1902 si ampliò la parte prospiciente via Maroncelli e si aggiunsero due piccole ali su Via Quadrio e Via Farini, mentre l'8 dicembre del medesimo anno si poneva la prima pietra della nuova chiesa che sarebbe stata dedicata a sant'Antonio di Padova. Il progetto fu affidato all'arch. Luigi Cesa Bianchi. Dopo soli quattro anni, il 12 giugno 1906, il beato cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, ne compiva la solenne consacrazione.
     Altri interventi - e non piccoli - si succedettero nel tempo:

  •  nel 1926 si alzò di un piano l'ala del convento su via Maroncelli
  • tra il 1932 e il 1937 il santuario fu ampliato (aggiungendo all'unica navata due "spazi laterali" sui quali furono appoggiate tre cappelle per lato) e fu edificato il campanile.
  • nel 1964 fu demolita una parte, ormai fatiscente, del vecchio conventino e fu edificato, su progetto dell'arch. Luigi Caccia Dominioni, il nuovo fabbricato prospiciente via Farini. Infine, tra il 1987 e il 1994, si procedette a un generale intervento di ripristino conservativo e di ristrutturazione della parte superstite dell'antico convento che potè così tornare ad ospitare - come era stato agli inizi della sua storia - gli uffici della Curia provinciale e dare nuovo incremento alle attività che da sempre lo caratterizzavano: l'animazione missionaria e le opere di carità sorte nel nome del santo di Padova (attenzione ai fratelli poveri con centro d'ascolto, guardaroba e mensa).  



 La piazza e la fontana. Il santuario è collocato al bivio di due importanti arterie cittadine: via Farini e via Maroncelli. Nel piccolo slargo che si apre davanti ad esso fu collocata nel 1932 una fontana. Opera dello scultore Giuseppe Maretto (1908-1984), essa raffigura sant'Antonio nell'atto di predicare ai pesci.

     Il campanile. sul fianco sinistro del santuario si innalza, nell'imponenza dei suoi 55 metri di altezza, il campanile edificato negli anni 1929-30 su disegno dell'arch. Ugo Zanchetta (che lo voleva come il "più bel campanile di Milano") e su cui fu collocata, il 16 ottobre del 1930, la statua raffigurante sant'Antonio nell'atto di sorreggere il Bambino Gesù. Opera dello scultore Angelo Galli, questa - realizzata in rame sbalzato e dorato - misura 5 metri di altezza (il solo Bambino raggiunge il metro e ottanta!). Il concerto di cinque campane, collocatovi a poca distanza di tempo, è opera della ditta milanese "Fratelli"Barigozzi".





     La facciata. In stile tardo-rinascimentale, si presenta con un impianto a due ordini ed è particolarmente ricercata. Nella parte inferiore si aprono le tre porte di accesso al santuario: quella centrale è sormontata da un bassorilievo collocato quando, nel 1937, il santuario fu "eretto" a Basilica romana minore.
     Nel secondo ordine - anch'esso scandito in tre parti - si colloca un balcone centrale affiancato da due finestre cieche. Nel piccolo ma ornatissimo frontone a lunetta che, poggiato su due semicolonne, sovrasta il balcone (pur esso cieco, ma con un ricchissimo ornamento di contorno) è raffigurato lo stemma francescano.
     Il balcone, a sua volta sorretto da due colonne poggianti su alti basamenti in graniglia, assume anche la funzione di protiro all'intero edificio. A ornamento del retro facciata e nello spazio del balcone e delle finestre, furono realizzate - in anni recenti - tre vetrate raffiguranti sant'Antonio di Padova (al centro), San Francesco d'Assisi (alla sua destra) e Santa Chiara (alla sua sinistra).
     Sul frontone triangolare che corona la facciata è rappresentato Sant'Antonio che porta tra le braccia il piccolo Gesù ed è circondato da una numerosa folla di devoti e supplicanti. alla sua base la scritta "DIVO ANTONIO DE PADUA DICATUM" e alla sua sommità una grande croce. Alle due estremità, quattro statue: forse immagini allegoriche raffiguranti le quattro virtù cardinali che temprano e forgiano i santi.


L'aula. L'interno a nave unica, ma con spazi laterali nati dalla divaricazione dei fianchi a cui si appoggiano tre cappelle per ogni lato, riprende i due ordini della facciata:

  • nel primo, le pareti sono scandite da semicolonne architravate che inquadrano archi su pennacchi e gli spazi sono ornati con angioletti che reggono festoni.
  • nel secondo è stato ricavato un matroneo le cui tribune guardano sull'interno attraverso otto leggere ed eleganti bifore, sormontate da oculi che immettono luce.
     Le decorazioni e le pitture del soffitto, con otto episodi della vita di sant'Antonio si devono al pennello di Attilio Andreoli (1877 - 1950).




     Il presbitero e l'abside. Lo sguardo è subito attratto dalla grande statua di sant'Antonio, posta la centro di quello che era un tempo l'altar maggiore. Quest'ultimo è opera dello scultore Battista De Giorgi, mentre la statua del santo - posto al centro di un tempietto semicircolare e ritratto mentre, poggiato su una nuvola e circondato da dodici angeli, reca tra le braccia il piccolo Gesù - proviene dalla bottega milanese di Giuseppe Nardini.
     Sui lati, due piccole logge poggianti ciascuna su tre possenti colonne (le uniche "intere", nel complesso del santuario) e ornate con trifore che fanno da legame tra i matronei della navata e il deambulatorio absidale. Alle loro estremità, otto statue di santi francescani. A destra: san Bonaventura da Bagnoregiosan Ludovico d'Angiòsan Bernardino da Siena e san Giacomo della Marca. A sinistra: san Pietro d'Alcantara, il beato Benvenuto da Recanatisan Giovanni da Capestrano e san Leonardo da Porto Maurizio. Sono opera dello scultore Angelo Colombo a cui si devono anche le altre ornamentazioni in cemento dell'area presbiteriale.
     I dipinti che ornano la volta e il catino dell'abside - rappresentanti la morte e la glorificazione del santo - sono anch'essi di Attilio Andreoli.
     Nel 1971, per adeguare lo spazio celebrativo alle norme liturgiche emanate a seguito del Concilio Ecumenico Vaticano II, si procedette ad una ristrutturazione del presbiterio e alla edificazione di un nuovo altare che fu poi "dedicato" il 6 dicembre dello stesso anno. Il compito fu affidato all'architetto Giovanni Muzio (1893 - 1982) e sotto la sua guida si procedette anche a un generale restauro del santuario: il raffinato e prezioso tabernacolo in marmo - un tempo al centro dell'altar maggiore - fu collocato al centro della parete sinistra e il pavimento del presbiterio fu arricchito da intarsi policromi in marmo, raffiguranti lo stemma dell'ordine francescano e altri simboli ecclesiali.
     Nell'abside: il coro ligneo dedicato alla preghiera dei religiosi, capace di 42 posti e, al centro, l'organo a tre tastiere e 43 registri (op 718 del 1955) opera della ditta Vincenzo Mascioni di Cuvio (VA).






      
Realizzate solo in un secondo tempo, a seguito dell'ingrandimento del santuario, sono parzialmente nascoste alla vista di chi entra.

Sul lato destro troviamo:
La cappella di San Giuseppe. sull'altare una tela dipinta nel 1934 da Umberto Brambilla (1880 - 1961). Raffigura il santo che porta sul braccio destro il piccolo Gesù, mentre regge nel sinistro il giglio, fiorito come segno della sua designazione a futuro sposo della Vergine Maria.



La cappella di San Francesco. La statua in marmo è dello scultore Michele Vedani (1874 - 1969). sull'altare quattro tavole dipinte raffiguranti episodi della vita del santo. Da sinistra, la rinuncia ai beni, l'approvazione della regola, una predica ai frati, la morte.
     Sulla parete frontale, un mosaico a fondo oro raffigura il serafino alato (immagine del Cristo Crocifisso) che sul monte della Verna impresse nel corpo di san Francesco le stimmate della passione del Signore. A lato del santo, sei angeli si fanno "banditori" di quelle virtù che egli tanto raccomandava ai suoi frati.
     Ai piedi dell'altare riposano i resti mortali di quattro francescani, vescovi in Somalia: monsignor Bernardino Bigi, monsignor Silvio Zocchetta e monsignor Salvatore Colombo. Nelle due nicchie alle pareti si conservano reliquie del beato Michele Carcano (Lomazzo 1427 - Lodi 1484), fondatore in molte città lombarde, di Monti di Pietà e Ospedali.



La cappella del Sacro Cuore. Il dipinto, opera anch'essa di Umberto Brambilla, raffigura - con i canoni dell'iconografia tradizionale - il Signore Gesù che mostra a noi la mano ferita e il cuore piagato.



Sul lato sinistro troviamo:
La Cappella del Crocifisso. E' dedicata alla memoria dei defunti. La scultura, in gesso brunito, è opera (1938) di Lodovico Pogliaghi (1857 - 1950), già autore nel 1906 della porta centrale del Duomo di Milano. Ai lati quattro delicati affreschi raffiguranti (da sinistra a destra e dall'alto in basso): la risurrezione di Lazzaro, Maria di Magdala al sepolcro di Gesù, la risurrezione della figlia di Giaro, la risurrezione del figlio della vedova di Nain.

La cappella di Santa Chiara. La statua in marmo (1941) è opera di Alfeo Bedeschi (1885 - 1971). Chiara è raffigurata mentre stringe al petto il libro della Regola, per la cui approvazione tanto aveva combattuto.
     Qui riposa il corpo del beato Sisto Brioschi (Milano 1404? - Mantova 1482), per quindici anni maestro di spirito del Beato Bernardino da Feltre.


UN BEATO TRA NOI 

Beato Sisto Brioschi

Nella nostra Basilica di Sant'Antonio, nell'altare di Santa Chiara, sul lato sinistro della chiesa, si conserva il corpo del Beato Sisto Brioschi, un francescano vissuto nel '400 e appartenente a quel grande movimento di rinnovamento dell'Ordine francescano conosciuto con il nome di Osservanza.
Il beato Sisto Brioschi nacque a Milano intorno al 1404. All'età di sedici anni, entusiasmato dalla predicazione infuocata di san Bernardino da Siena, che era giunto anche a Milano, per rinnovare i costumi e la vita cristiana, entrò tra i frati minori nel convento di Sant'Angelo, fondato proprio da san Bernardino. Tale convento non è da confondere con l'attuale sant'Angelo, ricostruito in zona più centrale a metà del '500; l'antico sant'Angelo che era un enorme convento con molti chiostri, si trovava tra l'attuale via Melchiorre Gioia e viale della Liberazione, non lontano dal nostro Santuario di sant'Antonio. Fin dal suo noviziato frate Sisto mostrò di dedicarsi con zelo ed entusiasmo alla vita da lui abbracciata, con un progressivo esercizio delle virtù cristiana.
Dopo l'ordinazione sacerdotale, di cui non si conosce la data, nel 1436 fu inviato al convento San Francesco in Mantova dove rimase per tutti i restanti 50 anni della sua vita. In quella città crebbe la sua fama di santità, anche per la notizia di suoi colloqui spirituali con Gesù e con sant'Andrea, che gli apparivano in visione. Questa fama di santità facevano accorrere molte persone a chiedere il suo consiglio e a confessarsi da lui: ebbe tra le sue penitenti anche la marchesa di Mantova.   
Ebbe tra i suoi discepoli un altro frate venerato come beato dall'Ordine francescano e dalla Chiesa, il beato Bernardino da Feltre, e lo sostenne nell'opera  meritoria della Fondazione dei Monti di Pietà in molte città. Anche a Mantova lo sostenne in questa impresa, nata nell'ambito dell'Osservanza francescana per porre un concreto rimedio all'usura. Quei grandi frati predicatori, che predicavano contro l'usura, si resero infatti conto ben presto che non bastava fare infuocati discorsi, ma che bisognava fare qualcosa di concreto per aiutare quei commercianti e quel mondo mercantile che stava crescendo nelle città e che finiva inesorabilmente vittima degli strozzini, quando c'era bisogno di denaro. I Monti di pietà svolgevano così una funzione che oggi chiameremmo di "microcredito" e che era essenziale per lo sviluppo economico delle città del Rinascimento. E' interessante trovare proprio i francescani dell'Osservanza all'origine di queste iniziative.
Il beato Sisto fu spesso incaricato del compito di Guardiano (cioè di responsabile) nel convento mantovano e guidò con accesa carità la famiglia religiosa affidata alle sue cure.
Così parla di lui un antico cronista: "Vecchio e destituito di forze questuava pane, vino e legna per i poveri frati, portando le bisacce sulle sue spalle. Lavava i piedi degli ospiti del convento, li serviva alla mensa, e per loro esercitava, da buon padre, tutti quegli offici che esigeva la carità fraterna. Con viscere di fraterno amore serviva agli infermi, non sdegnava di pulire con le proprie mani anche i vasi più immondi vincendo la naturale ripugnanza. "
Morì il 22 novembre 1486 nel convento di Mantova, in grande fama di santità. Il suo corpo fu trasferito nella Basilica di sant'Antonio a Milano fin dalle origini della sua costruzione e la venerazione pubblica del suo corpo fu confermata da San Pio X il 9 ottobre 1912: la nostra basilica è il luogo deputato a fare memoria liturgica, ogni anno, di questo beato.
La presenza di queste reliquie accanto a noi accresca anche il nostro desiderio di santità e ci aiuti a crescere nella capacità di essere testimoni geniali e creativi del Vangelo.



La cappella dell'Immacolata. La statua proviene dalla chiesetta edificata nel 1876 e già dedicata alla beata Vergine Immacolata. Maria è raffigurata mentre con il piede schiaccia il capo all'antico "avversario".
     Sulle pareti laterali, mosaici su disegno di Gianfranco Usellini (1937), raffiguranti:
a sinistraGiudittaEsterDeboraGiaele, donne che nell'antica alleanza prefigurarono la cura che Dio sempre si prende per il suo popolo,
- a destra: il beato Pio IX, il beato Giovanni Duns Scoto, san Bernardo e san Bonaventura, che furono appassionati cantori della grandezza di Maria.




   Prima di uscire dal santuario, sopra il portone centrale, leggiamo la lapide che ricorda la posa della prima pietra ("lapidem auspicalem") e la consacrazione della chiesa e dell'altar maggiore, entrambe ad opera del beato cardinale Carlo Andrea Ferrari.
     Vi si fa doverosa menzione di padre Ludovico Antomelli (allora Ministro Provinciale di Lombardia) che, "con grande impegno e fatica" pur in mezzo a non poche difficoltà, si spese per la costruzione di questo tempio "con la ricchezza della carità".





Tratto da 
Supplemento al bollettino periodico "Sant'Antonio" 
numero 1/2013
in distribuzione presso il Santuario.
      

sabato 5 dicembre 2015

6-7-8- Dicembre 2015 - Mercatino Natalizio Francescano - Convento S. Antonio, via Carlo Farini, 10 Milano

Ci nascerà un fanciullo 
e sarà chiamato Dio forte.
Siederà sul trono del suo antenato Davide,
e regnerà
e avrà su di sé ogni potere,


Con Sorella
Provvidenza
alla Greppia
di Gesù

Biglietti e decori natalizi,
marmellate, borse, bazar,
lavori a maglia, fiori, bijoux,
feltro, candele, biscotti...


Fai un dono
nella condivisione!

Orari:
6-8 dicembre
8,30/13,00   16,30/19,00

7 dicembre
16,30/19,00

Mezzi di trasporto:
Metro lilla, M5, fermata Monumentale
Metro Verde, M2 fermata Garibaldi
Ferrovie Trenord, Stazione Milano Porta Garibaldi
Passante ferroviario, Stazione Milano Porta Garibaldi
Linee tramviarie 4, 2, 10



martedì 10 novembre 2015

Domenica 20 novembre2016 si festeggia Santa Elisabetta d'Ungheria nel Santuario di S. Antonio di Padova a Milano

Domenica 20 novembre p.v., nel Santuario di Sant'Antonio di Padova in  via Carlo Farini a Milano, si celebra la Festa di Santa Elisabetta d'Ungheria, patrona dell'Ordine Francescano Secolare - OFS - .

In questa giornata saranno vendute nel Santuario le rose bianche di Santa Elisabetta.



L'ESEMPIO DI VITA EVANGELICA
DI SANTA ELISABETTA D'UNGHERIA
Magyarországi Szent Erzsébet 

Nata nel 1207 Elisabetta visse nella Corte ungherese solo i primi quattro anni della sua infanzia, assieme a una sorella  e tre fratelli. La sua fanciullezza felice fu bruscamente interrotta quando, dalla lontana Turingia, giunsero dei cavalieri per portarla nella nuova sede in Germania centrale. Secondo i costumi di quel tempo, infatti, suo padre aveva stabilito che Elisabetta diventasse principessa di Turingia. Il conte di quella regione era uno dei sovrani più ricchi ed influenti d'Europa all'inizio del XIII secolo, e il suo castello era centro di magnificenza e di cultura. Elisabetta partì dalla sua patria con una ricca dote e un grande seguito, comprese le sue ancelle personali, due delle quali le rimarranno amiche fedeli fino alla fine. Sono loro che ci hanno lasciato preziose informazioni sull'infanzia e sulla vita della Santa.


Dopo un lungo viaggio giunsero ad Eisenach, per salire poi alla fortezza di Wartburg, il massiccio castello sopra la città. Qui si celebrò il fidanzamento tra Ludovico ed Elisabetta. Negli anni successivi, mentre Ludovico imparava il mestiere di cavaliere, Elisabetta e le sue compagne studiavano tedesco, francese, latino, musica, letteratura e ricamo. Nonostante il fatto che il fidanzamento fosse stato deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero, animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di Dio. All'età di diciotto anni, Ludovico, dopo la morte del padre, iniziò a regnare sulla Turingia. Elisabetta divenne però oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva alla vita di corte. Così anche la celebrazione del matrimonio non fu sfarzosa e le spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi. Una volta, entrando in chiesa nella festa dell'Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: "Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?". Come si comportava dinanzi a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. Tra i  Detti delle quattro ancelle troviamo questa testimonianza: "Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza". Un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l'esercizio dell'autorità, ad ogni livello, dev'essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune. Elisabetta praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri. Questo comportamento fu riferito al marito, il quale non solo non ne fu dispiaciuto, ma rispose agli accusatori: "Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!". Il suo fu un matrimonio profondamente felice: Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose. Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi alla sua attenzione verso i poveri, le disse: "Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura". Una chiara testimonianza di come la fede e l'amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l'unione matrimoniale. 
La giovane coppia trovò appoggio spirituale nei Frati Minori, che, dal 1222, si diffusero in Turingia. Tra di essi Elisabetta scelse frate Ruggero come direttore spirituale. Quando egli le raccontò la vicenda della conversione del giovane e ricco mercante Francesco d'Assisi Elisabetta si entusiasmò ulteriormente nel suo cammino di vita cristiana. Da quel momento, fu ancora più decisa nel seguire Cristo povero e crocifisso, presente nei poveri. anche quando nacque il primo figlio, seguito poi da altri due, la nostra Santa non tralasciò mai le sue opere di carità. Aiutò inoltre i Frati Minori a costruire un convento, di cui frate Ruggero divenne il superiore.
Una dura prova fu l'addio al marito, a fine giugno del 1227 quando Ludovico IV si associò alla crociata dell'imperatore Federico II, ricordando alla sposa che quella era una tradizione per i sovrani di Turingia. Elisabetta rispose: "Non ti tratterrò. Ho dato tutta me stessa a Dio ed ora devo dare anche te". La febbre, però, decimò le truppe e Ludovico stesso cadde malato e morì ad Otranto, prima di imbarcarsi, nel settembre 1227, all'età di ventisette anni. Elisabetta, appresa la notizia, ne fu così addolorata che si ritirò in solitudine, ma poi, fortificata dalla preghiera e consolata dalla speranza di rivederlo in Cielo, ricominciò ad interessarsi degli affari del regno. La attendeva, tuttavia, un'altra prova: suo cognato usurpò il governo della Turingia, dichiarandosi vero erede di Ludovico ed accusando Elisabetta di essere una pia donna incompetente nel governare. La giovane vedova, con i tre figli, fu cacciata dal castello e si mise alla ricerca di un luogo dove rifugiarsi. Solo due delle sue ancelle le rimasero vicino, la accompagnarono e affidarono i tre bambini alle cure degli amici di Ludovico.  Peregrinando per i villaggi, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all'inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo, dove abitava anche il suo direttore spirituale Fra' Corrado. Fu lui a riferire al Papa Gregorio IX il seguente fatto: " Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull'altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti. Avendola io rimproverata su queste cose, Elisabetta rispose che dai poveri riceveva una speciale grazia ed umiltà". Possiamo scorgere in questa affermazione una certa esperienza mistica simile a quella vissuta da san Francesco: il Poverello di Assisi dichiarò infatti nel suo testamento che, servendo i lebbrosi, quello che prima gli era amaro fu tramutato in dolcezza dell' anima e del corpo. Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell'ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi. Cercava sempre di svolgere i servizi più umili e i lavori più ripugnanti. Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo Ordine Regolare di san Francesco e dell'Ordine Francescano Secolare. Nel novembre del 1231 fu colpita da forti febbri. Quando la notizia della sua malattia si propagò, moltissima gente accorse a vederla. Dopo una decina di giorni, chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio. Nella notte del 17 novembre si addormentò dolcemente nel Signore.Le testimonianze sulla sua santità furono tante e tali che, solo quattro anni più tardi, il papa Gregorio IX la proclamò Santa e, nello stesso anno, fu consacrata la bella chiesa costruita in suo onore a Marburgo. Nella figura di santa Elisabetta vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a riscoprire Cristo, ad amarLo, ad avere la fede e così trovare la vera giustizia e l'amore, come pure la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino, nella gioia dell'eternità con Dio.

f.l.c.
Tratto da Sant'Antonio N. 3-4 LUGLIO-DICEMBRE 2011
BOLLETTINO DEL SANTUARIO DI SANT'ANTONIO DA PADOVA
20154 MILANO - VIA FARINI 10





17 novembre - Lodi Mattutine - Inno

O Santa Elisabetta,
accogli il nostro canto:
dal gaudio del Signore
ascolta chi ti prega.

In terra hai conosciuto
la pena dell'esilio:
guida alla patria eterna
chi è ancora pellegrino

Per Cristo hai rinunciato
alla gloria terrena:
donaci di stimare
soltanto i beni eterni.

Tu hai vinto le insidie
dell'eterno nemico:
imploraci da Dio 
l'aiuto che ci salva.

Onore sia al Padre,
lode al divin Figlio,
grazia al Santo Spirito,
nei secoli eterni. Amen.




Bibliografia:


lunedì 28 settembre 2015

1-2-3-4 OTTOBRE 2015 - SOLENNITA' DI SAN FRANCESCO D'ASSISI al Santuario di s.Antonio di Milano, via Carlo Farini 10

"Tutti i frati si impegnino a seguire l'umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che di tutto il mondo, come dice l'Apostolo, noi non dobbiamo avere nient'altro, se non il cibo e l'occorrente per vestirci e di questo ci dobbiamo accontentare. e devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada. E quando sarà necessario, vadano per l'elemosina. e non si vergognino, ma si ricordino piuttosto che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo  Onnipotente, rese la sua faccia come pietra durissima, né si vergognò. E fu povero e ospite e visse di elemosine lui e la beata Vergine e i suoi discepoli. E quando gli uomini li facessero arrossire e non volessero dare loro l'elemosina, ne ringrazino Iddio, perché per tali umiliazioni riceveranno grande onore  presso il tribunale del Signore nostro Gesù Cristo."  San Francesco d'Assisi, Regola non bollata, Capitolo IX,  "Del chiedere l'elemosina", Fonti Francescane 29,30,31


Per la Parrocchia di Aleppo in Siria



Mezzi di trasporto:
Passante Ferroviario (Garibaldi), Linea MM 5 Lilla (Garibaldi). Linea MM 2Verde (Garibaldi), Ferrovie Trenord (Garibaldi), Tram 2-4

PARROCCHIA DI ALEPPO, SIRIA - BASILICA SANTUARIO S. ANTONIO MILANO

I frati della Custodia di Terra Santa, ad Aleppo in Siria, restano accanto a tutti quelli, e sono tanti, che non sono riusciti a fuggire. Ad Aleppo manca tutto, energia elettrica, acqua, cibo, lavoro. 
Gli abitanti vivono ormai nel terrore della diffusione della violenza dell'integralismo islamico. 
I frati della Custodia accolgono i profughi nei loro conventi, danno accesso ai pozzi per il rifornimento di acqua potabile, organizzano la distribuzione dei generi di prima necessità a tutta la popolazione, aiutano a ricostruire le case distrutte dalle bombe. 
Sosteniamoli con la preghiera e con la carità.





LINK:
CUSTODIA DI TERRA SANTA - CATHOPEDIA
ASSOCIAZIONE DI TERRA SANTA
ASSOCIAZIONE DI TERRA SANTA - CATHOPEDIA

giovedì 17 settembre 2015

17 settembre - Impressione delle stimmate di San Francesco -Ore 20 Santa Messa

Adoriamo Cristo Re crocifisso , che insignì Francesco delle sacre stimmate


Inno

Nel silenzio della Verna
si rinnova in San Francesco
il mistero della Croce

Mentre in estasi contempla
la Passione del Signore,
vien dal cielo una gran luce:

Un celeste Serafino
rivestito di sei ali, 
inchiodato sulla croce.

Riconosce il Poverello
il Signore Crocifisso:
cresce il fuoco nel suo cuore.

Cinque raggi hanno colpito
mani, piedi e il suo costato:
son le stimmate di Cristo.

O mirifico portento:
è visibile nel servo
la figura del Signore.

O glorioso san Francesco
dona ai figli di seguirti
nel dolore e nell'amore.
Amen



mercoledì 15 luglio 2015

Lunedì 20 luglio, ore 13,15, Santa Messa Pro Terra Sancta nel Santuario di Sant'Antonio a Milano

In preghiera per la Terra Santa.


Milano, via Carlo Farini 10 (Porta Nuova)
M2, Stazione FS Garibaldi, M5, Tram 2.4, bus 37

mercoledì 10 giugno 2015

mercoledì 20 maggio 2015

Mese di maggio: preghiamo Maria



e aiutiamo i Cristiani della Terra Santa:




Ave o Maria,
piena di grazia,
il Signore è con te.
Tu sei benedetta
fra tutte le donne 
e benedetto è il figlio tuo Gesù.
Santa Maria, 
madre di Dio,
prega per noi peccatori,
adesso
 e nell'ora della nostra morte.


venerdì 3 aprile 2015

San Francesco e la Pasqua


Se proviamo a ricercare nella Scritti  di san Francesco quando e come egli parli della Pasqua, emerge una certa qual assenza di riferimenti espliciti alla risurrezione.
La parola resurrezione (resurrectio), infatti, ritorna una sola volta, per indicare la scadenza che pone fino al digiuno quaresimale ("fino alla resurrezione del Signore"), e quindi con un significato poco rilevante per la nostra indagine; mentre il verbo risorgere (resurgo) ritorna una volta sola, nel salmo di nona dell'Ufficio della Passione, questa volta però con un versetto significativo.
Anche la parola Pasqua (Pascha) ritorna solo due volte, una per indicare ancora la fine del digiuno quaresimale, ed una volta per indicare il gesto di Gesù, che "prossimo alla passione, celebrò la pasqua con i suoi discepoli e, prendendo il pane rese grazie, lo benedisse..." e quindi con un significato piuttosto riferito all'eucaristia. 
La prima impressione è quindi quella di una certa assenza del riferimento esplicito al tema della resurrezione: anche quando Francesco (un paio di volte negli Scritti) fa una specie di riassunto della storia di Gesù, non fa cenno esplicito alla resurrezione e insiste piuttosto sulla sua morte per noi. D'altra parte, è ovvio che Francesco conosce e crede la realtà della risurrezione del Signore; ma piuttosto che affermarla direttamente, egli preferisce dichiararla implicitamente, parlando molte volte del Signore glorioso e risorto, colui che oggi è vivente e salvatore. In articolare Francesco è convinto che due aspetti contraddistinguano la presenza di cristo vivente oggi: egli parla nel Vangelo ed è presente e agisce nell'eucaristia. La parola (soprattutto il Vangelo, ma in verità tutta la Bibbia) e il sacramento dell'eucaristia, infatti, sono costantemente presenti nell'esperienza di Francesco, e ad essi egli si riferisce esplicitamente molte volte.
L'espressione "come dice il Signore nel Vangelo" ritorna innumerevoli volte negli Scritti, in particolare nelle Regole; in tale espressione bisogna notare che  il verbo usato da Francesco è sempre rigorosamente al presente (dice, non disse), perché è oggi che Cristo parla nel Vangelo e non si tratta del ricordo di quanto egli disse tanto tempo fa, quanto di ciò che egli oggi dice a chi lo ascolta con fede. Egli può parlare oggi semplicemente perché è il risorto, e dunque è vivo oggi.  Un episodio biografico che bene illustra questa convinzione di Francesco è quello narrato dal Memoriale (Vita seconda) del Celano, dove alla domanda di Bernardo, che vuole condividere la sua vita e gli chiede cosa fare, Francesco risponde: "Prendiamo il libro del Vangelo e chiediamo consiglio a Cristo"; la triplice apertura del Vangelo gli rivela la volontà di Cristo proprio perché egli è il risorto, vivente e parlante nell'oggi di ogni credente.
L'altra forma di presenza del risorto è legata all'eucaristia; ed è il passaggio dall'attenzione alla presenza di Cristo nel Vangelo a quella nel sacramento è più che legittimo, perché ritorna spesso nei testi di Francesco e perché è in profonda sintonia con la fede cristiana. Tra i diversi testi nei quali Francesco parla dell'eucaristia fermiamo l'attenzione sulla Lettera a tutto l'Ordine, dalla quale riprendiamo alcune espressioni che fanno intendere che la presenza del Cristo nell'eucaristia è la presenza del risorto vivente oggi:
"Ascoltate, fratelli miei. Se la beata Vergine è così onorata, come è giusto, perché lo portò nel suo santissimo grembo; se il Battista tremò di gioia e non osò toccare il capo santo del Signore; se è venerato il sepolcro, nel quale egli giacque per qualche tempo; quanto deve essere santo, giusto e degno colui che tocca con le sue mani, riceve nel cuore e con la bocca ed offre agli altri perché ne mangino, Lui non già morituro, ma in eterno vivente e glorificato, sul quale gli angeli desiderano volgere lo sguardo! Tutta l'umanità trepidi, l'universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull'altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. [...] Se poi nel luogo vi fossero più sacerdoti, l'uno, per amore di carità, si accontenti dell'ascolto della celebrazione dell'altro sacerdote, poiché il signore Gesù Cristo riempie presenti ed assenti che sono degni di lui. Egli, infatti, sebbene sembri essere in più luoghi, tuttavia rimane indivisibile e non conosce detrimento di sorta, ma uno ovunque, come a lui piace, opera insieme con il Signore Iddio Padre e con lo Spirito Santo Paraclito nei secoli dei secoli. Amen."
In questo testo possiamo sottolineare che la presenza di Cristo nell'eucaristia rimanda anzitutto a "Lui non già morituro, ma in eterno vivente e glorificato, sul quale gli angeli desiderano volgere lo sguardo"; si tratta di un riferimento esplicito alla condizione gloriosa del risorto, attribuita al Cristo presente nel sacramento. Saggiamente, l'ultima edizione delle Fonti Francescane ha preferito tradurre il latino victurum con vivente piuttosto che con vincitore: il vocabolo latino permette tutte e due le versioni, perché victurus è participio futuro sia di vivere che di vincere, ma nel nostro caso l'opposizione a morituro sostiene questa interpretazione. 
Anche l'invito ad un'unica celebrazione della Messa conduce Francesco ad affermare l'azione attuale di Cristo, che agisce nel presente, perché "uno e ovunque, come a lui piace, opera insieme con il Signore Iddio Padre e con lo Spirito Santo Paraclito". Non solo nell'eucaristia è presente il Signore risorto, ma la sua presenza e azione ci permette di entrare in comunione vera con tutta la santa Trinità. 
In questa Pasqua 2015, anche noi ascolteremo la parola del Vangelo e potremo accostarci al sacramento dell'eucaristia: Francesco ci insegna che questi sono i mezzi con cui il Risorto si fa presente oggi per noi.
Quale grazia ci è donata con la Parola e il sacramento: poter incontrare il Risorto! Nasce nel cuore lo stupore e il rendimento di grazie per un tale dono; e forse anche un po' di gratitudine verso il nostro fratello san Francesco, che ci aiuta a scoprire un tale mistero.
fr. Cesare Vaiani
Tratto da Sant'Antonio
BOLLETTINO DEL SANTUARIO
 DI SANT'ANTONIO DA PADOVA
N.1 MARZO 2015
(in distribuzione presso il santuario)