VERSO LA PASQUA CON SAN FRANCESCO
Stiamo vivendo i giorni santi della Quaresima che ci conducono alla Pasqua, centro dell'anno liturgico e della fede cristiana. Può essere utile per noi osservare che anche al cuore dell'esperienza spirituale di san Francesco troviamo la Pasqua del Signore. Ciò non può stupirci: se è vero che la Pasqua è il centro della vita cristiana, non possiamo aspettarci di trovare qualcos'altro anche nell'esperienza più profonda e più intima di quei grandi amici di Dio che furono i santi.
In particolare, la vicinanza di Francesco al Signore crocifisso e risorto si manifesta con chiarezza negli ultimi anni della sua vita, quando egli era ormai molto malato e carico di preoccupazioni e problemi legati alla gestione della fraternità che era nata intorno a lui; in questo contesto di sofferenze del corpo e dello spirito, il Signore lo volle rendere partecipe in maniera più intima della propria passione e della propria resurrezione, con il dono misterioso delle stimmate, che Francesco ricevette sul monte della Verna, durante la visione misteriosa di un serafino crocifisso. Così narra il primo biografo, Tommaso da Celano (1 Cel94; FF 484).
Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, conflitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo.
A quell'apparizione, il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.
Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.
Uno dei tratti singolari di questa esperienza mistica di Francesco è il fatto che egli non ebbe la visione semplicemente del crocifisso, ma di un "serafino crocifisso", o di un "crocifisso in forma di serafino": si tratta di un elemento caratteristico, che ritorna in tutte le testimonianze degli antichi biografi, e che crediamo possa rimandare al fatto che la sofferenza della passione (rappresentata dal crocifisso) non può mai essere disgiunta dalla beatitudine della resurrezione (simboleggiata dalla figura gloriosa del serafino).
Siamo così ricondotti ad un tratto importante della nostra fede: se guardiamo alla Pasqua del Signore, non si può mai considerare soltanto la croce o soltanto la resurrezione, isolare il mistero della morte di Cristo da quello della vita che in lui trionfa: essi si trovano indissolubilmente congiunti, nella vicenda di Gesù come nella vita di ogni cristiano (e anche nell'esperienza di san Francesco). Il mistero pasquale è proprio questa indissolubile unione di morte e resurrezione, di umiliazione e di trionfo, di passione e di gloria: mai l'uno senza l'altro, mai solo uno o solo l'altro. Ricordiamocelo bene: non si può guardare solo alla croce o solo alla resurrezione!
Anche la nostra vita cristiana deve riscoprire la feconda (e spesso difficile!) unione dei due elementi, che sembrano essere così contrastanti: solo in tal modo il nostro soffrire acquista un senso nuovo di resurrezione, ed anche il nostro gioire non rimane nella superficialità di una banale allegria da buontemponi, ma penetra in profondità fino alla gioia profonda e alla pace che nasce dalla pasqua.
Alla Verna, Francesco fa questa esperienza pasquale: è ricondotto al centro della sua fede, cioè alla Pasqua di Gesù, e le stimmate mostrano nel suo corpo i segni di un passaggio che è ben più profondo e interiore, cioè di una pasqua che tocca il centro della sua vita e che è il cuore di ogni vera esperienza cristiana. Se vogliamo trovare una immagine che esprima visivamente questa unità di morte e resurrezione possiamo pensare al Crocifisso di san Damiano: il Cristo è rappresentato in croce, ma vivo, con gli occhi ben aperti e l'atteggiamento serenamente dominatore. In lui si uniscono e sovrappongono l'aspetto del crocifisso e del risorto, ed è bello pensare che anche alla Verna la visione del Serafino crocifisso abbia ricordato a Francesco quell'immagine a lui così cara del Crocifisso di san Damiano, che aveva avuto una così grande importanza nella storia della sua conversione. Francesco scenderà dalla Verna trasformato, non solo nel corpo ma anche nel cuore, perché così avviene ogni volta che ci accostiamo seriamente alla Pasqua di Gesù.
Questa esperienza così profondamente pasquale, di morte e resurrezione, Francesco l'ha vissuta nella sua carne e ce la insegna ancora oggi con semplicità: pochi mesi dopo aver ricevuto le stimmate egli compose il Cantico di frate sole, che è la più bella e radiosa espressione di questa spiritualità pasquale. Per capire che anche in quelle parole, splendenti di gioia e di pace, si nasconde il mistero della pasqua di morte e resurrezione, dobbiamo ricordare che egli scrisse il Cantico durante un periodo di particolare infermità fisica, tormentato da una malattia agli occhi che oltre a renderlo quasi cieco e a rendergli insopportabile la luce, gli procurava anche grandi dolori; dopo una notte di particolari sofferenze fisiche, accentuate da una inspiegabile invasione di topi che avevano infestato la celletta dove giaceva, Francesco si rivolse al Signore chiedendo il suo aiuto, e ne ricevette la certezza di possedere il suo Regno.
La gioia per tale assicurazione divina suscitò nel cuore di Francesco le parole del Cantico che ben conosciamo: "Altissimo, onnipotente, bon Signore, Tue son le laude, la gloria e l'onore et omne benedizione... Laudato sie, mi' Signore, cun tutte le Tue creature...".
Sono parole che portano immagini di luce e di gioia (il sole, il fuoco, le stelle) e fa impressione pensare che provengono dalle labbra di un uomo ormai quasi cieco, provato dalla malattia e dal dolore. Ancor più, bisogna notare che la lode gioiosa per le creature si unisce al ricordo di quelli che sostengono "infermitate e tribulazione" e addirittura alla lode "per sora nostra morte corporale". Ancora una volta, nel Cantico di frate sole, ritroviamo le due componenti, indissolubilmente unite: il dolore e la gioia, la croce e la resurrezione. Le parole del Cantico sono le parole di chi ormai ha fatto pasqua con Cristo, che con Lui è stato sulla croce (e le stimmate avevano posto Francesco sulla croce del Signore) ma che con Lui è entrato nella vita nuova della resurrezione.
E' con gli occhi del risorto che Francesco può guardare il mondo e riconoscerlo bello; è alla luce della pasqua di resurrezione che egli può dire che anche il sole "de Te, Altissimo, porta significazione". Le creature che Francesco contempla sono già i "cieli nuovi e la terra nuova" inaugurati dalla resurrezione di Cristo, contemplati nella luce della gloria perché Francesco è già passato attraverso la passione e la croce. Solo alla luce della Pasqua si può lodare il Signore anche per la morte!
Anche noi, in questi giorni di Pasqua, siamo invitati a far pasqua con il Signore: ad assumere le nostre croci, la nostra passione e infermità, magari la nostra malattia, per viverle insieme con il Signore: ed anche a noi sarà dato allora di gustare la gioia dolcissima della resurrezione, e ci ritroveremo occhi nuovi capaci di vedere la bellezza delle creature, e giungeremo perfino, come Francesco, a cantare "Laudato sie, mi Signore, per sora nostra morte corporale". E quando canteremo così, avremo davvero fatto pasqua.
Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.
Uno dei tratti singolari di questa esperienza mistica di Francesco è il fatto che egli non ebbe la visione semplicemente del crocifisso, ma di un "serafino crocifisso", o di un "crocifisso in forma di serafino": si tratta di un elemento caratteristico, che ritorna in tutte le testimonianze degli antichi biografi, e che crediamo possa rimandare al fatto che la sofferenza della passione (rappresentata dal crocifisso) non può mai essere disgiunta dalla beatitudine della resurrezione (simboleggiata dalla figura gloriosa del serafino).
Siamo così ricondotti ad un tratto importante della nostra fede: se guardiamo alla Pasqua del Signore, non si può mai considerare soltanto la croce o soltanto la resurrezione, isolare il mistero della morte di Cristo da quello della vita che in lui trionfa: essi si trovano indissolubilmente congiunti, nella vicenda di Gesù come nella vita di ogni cristiano (e anche nell'esperienza di san Francesco). Il mistero pasquale è proprio questa indissolubile unione di morte e resurrezione, di umiliazione e di trionfo, di passione e di gloria: mai l'uno senza l'altro, mai solo uno o solo l'altro. Ricordiamocelo bene: non si può guardare solo alla croce o solo alla resurrezione!
Anche la nostra vita cristiana deve riscoprire la feconda (e spesso difficile!) unione dei due elementi, che sembrano essere così contrastanti: solo in tal modo il nostro soffrire acquista un senso nuovo di resurrezione, ed anche il nostro gioire non rimane nella superficialità di una banale allegria da buontemponi, ma penetra in profondità fino alla gioia profonda e alla pace che nasce dalla pasqua.
Alla Verna, Francesco fa questa esperienza pasquale: è ricondotto al centro della sua fede, cioè alla Pasqua di Gesù, e le stimmate mostrano nel suo corpo i segni di un passaggio che è ben più profondo e interiore, cioè di una pasqua che tocca il centro della sua vita e che è il cuore di ogni vera esperienza cristiana. Se vogliamo trovare una immagine che esprima visivamente questa unità di morte e resurrezione possiamo pensare al Crocifisso di san Damiano: il Cristo è rappresentato in croce, ma vivo, con gli occhi ben aperti e l'atteggiamento serenamente dominatore. In lui si uniscono e sovrappongono l'aspetto del crocifisso e del risorto, ed è bello pensare che anche alla Verna la visione del Serafino crocifisso abbia ricordato a Francesco quell'immagine a lui così cara del Crocifisso di san Damiano, che aveva avuto una così grande importanza nella storia della sua conversione. Francesco scenderà dalla Verna trasformato, non solo nel corpo ma anche nel cuore, perché così avviene ogni volta che ci accostiamo seriamente alla Pasqua di Gesù.
Questa esperienza così profondamente pasquale, di morte e resurrezione, Francesco l'ha vissuta nella sua carne e ce la insegna ancora oggi con semplicità: pochi mesi dopo aver ricevuto le stimmate egli compose il Cantico di frate sole, che è la più bella e radiosa espressione di questa spiritualità pasquale. Per capire che anche in quelle parole, splendenti di gioia e di pace, si nasconde il mistero della pasqua di morte e resurrezione, dobbiamo ricordare che egli scrisse il Cantico durante un periodo di particolare infermità fisica, tormentato da una malattia agli occhi che oltre a renderlo quasi cieco e a rendergli insopportabile la luce, gli procurava anche grandi dolori; dopo una notte di particolari sofferenze fisiche, accentuate da una inspiegabile invasione di topi che avevano infestato la celletta dove giaceva, Francesco si rivolse al Signore chiedendo il suo aiuto, e ne ricevette la certezza di possedere il suo Regno.
La gioia per tale assicurazione divina suscitò nel cuore di Francesco le parole del Cantico che ben conosciamo: "Altissimo, onnipotente, bon Signore, Tue son le laude, la gloria e l'onore et omne benedizione... Laudato sie, mi' Signore, cun tutte le Tue creature...".
Sono parole che portano immagini di luce e di gioia (il sole, il fuoco, le stelle) e fa impressione pensare che provengono dalle labbra di un uomo ormai quasi cieco, provato dalla malattia e dal dolore. Ancor più, bisogna notare che la lode gioiosa per le creature si unisce al ricordo di quelli che sostengono "infermitate e tribulazione" e addirittura alla lode "per sora nostra morte corporale". Ancora una volta, nel Cantico di frate sole, ritroviamo le due componenti, indissolubilmente unite: il dolore e la gioia, la croce e la resurrezione. Le parole del Cantico sono le parole di chi ormai ha fatto pasqua con Cristo, che con Lui è stato sulla croce (e le stimmate avevano posto Francesco sulla croce del Signore) ma che con Lui è entrato nella vita nuova della resurrezione.
E' con gli occhi del risorto che Francesco può guardare il mondo e riconoscerlo bello; è alla luce della pasqua di resurrezione che egli può dire che anche il sole "de Te, Altissimo, porta significazione". Le creature che Francesco contempla sono già i "cieli nuovi e la terra nuova" inaugurati dalla resurrezione di Cristo, contemplati nella luce della gloria perché Francesco è già passato attraverso la passione e la croce. Solo alla luce della Pasqua si può lodare il Signore anche per la morte!
Anche noi, in questi giorni di Pasqua, siamo invitati a far pasqua con il Signore: ad assumere le nostre croci, la nostra passione e infermità, magari la nostra malattia, per viverle insieme con il Signore: ed anche a noi sarà dato allora di gustare la gioia dolcissima della resurrezione, e ci ritroveremo occhi nuovi capaci di vedere la bellezza delle creature, e giungeremo perfino, come Francesco, a cantare "Laudato sie, mi Signore, per sora nostra morte corporale". E quando canteremo così, avremo davvero fatto pasqua.
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