sabato 29 novembre 2014

6-7-8 dicembre 2014
8,30/13,00  -  16,30/19,30
Milano, Via Carlo Farini, 10
Convento S. Antonio

Mercatino Natalizio Francescano 

Con Sorella Provvidenza
alla Greppia di Gesù  

Biglietti e decori natalizi, 

marmellate, borse, bazar, 

lavori a maglia, marmellate, 

bijoux, feltro, candele, 

Fai un dono nella condivisione! 

 Mezzi di trasporto: Stazione FS Milano Porta Garibaldi, Passante ferroviario Milano Porta Garibaldi, M2 Porta Garibaldi, M5 Porta Garibaldi, ATM linee 2, 4,  37,  fermata Farini/Ferrari.


giovedì 9 ottobre 2014

Milano, giovedì 16 ottobre 2014 - Corso di Spiritualità Francescana "La via di Francesco" guidato da fra Cesare Vaiani - Centro Qiqajon, Via Carlo Farini 17

     Ogni terzo giovedì del mese alle ore 21,00, a partire da giovedì 16 ottobre 2014, e fino a maggio 2015,  si terrà un 

Corso di spiritualità francescana

"La via di Francesco"

     Si tratta di un ciclo di appuntamenti dedicati all'approfondimento della figura di san Francesco d'Assisi e del suo carisma guidati da fra Cesare Vaiani.


     Sede degli incontri sarà il Centro Qiqajon di via Carlo Farini, 17 di fronte al Santuario Basilica di Sant'Antonio di Padova di Milano (occorre attraversare la strada sulla quale si trova la chiesa).

     Mezzi di trasporto: Stazione FS Milano Porta Garibaldi, Passante ferroviario Milano Porta Garibaldi, M2 Porta Garibaldi, M5 Porta Garibaldi, ATM linee 2, 4, 7, 37,  fermata Farini/Ferrari.







lunedì 29 settembre 2014

3 e 4 ottobre 2014 - Festa di San Francesco di Assisi - Santuario Sant'Antonio, Milano - Via Carlo Farini 10



3 ottobre - Commemorazione del Transito di San Francesco:
ore 18,00 VESPRI
ore 18,30 SANTA MESSA - Transito

4 ottobre - San Francesco d'Assisi 
ore 18,30 SANTA MESSA, seguono Vespri

ORAZIONE
O Dio, che nel Serafico Padre San Francesco, povero e umile, hai offerto alla tua Chiesa una viva immagine del Cristo, concedi a noi di seguire il tuo Figlio nella vita del vangelo e di unirci a te in carità e letizia.




IL GESU' DI FRANCESCO

Con l'inizio di ottobre ritorna la festa di san Francesco, cara a tutti noi francescani e a quanti frequentano il nostro Santuario. Vogliamo riflettere brevemente su quale è l'immagine di Gesù che ha particolarmente colpito Francesco. Infatti, se pure è vero che Gesù Cristo è lo stesso per tutti i cristiani, è altrettanto vero che ognuno di noi ne ha una percezione personale: in questo senso si può parlare del "Gesù di Francesco", indagando quali aspetti del mistero di Cristo lo hanno più colpito.
Una conoscenza spirituale di Gesù Cristo.
La chiave di accesso per entrare nella conoscenza di Gesù Cristo ci è fornita secondo Francesco, dallo Spirito del Signore: è solo aprendosi all'azione dello Spirito santo che si può entrare in un rapporto vivo con Gesù, incontrato come una persona viva oggi, e non semplicemente come un personaggio storico vissuto tanto tempo fa. Se ci pensiamo bene, è questa la differenza tra la conoscenza di Gesù e quella di altri personaggi storici: con Gesù mi rapporto sapendo che è vivo oggi, mentre degli altri parlo come di persone del passato. Questa differenza è resa possibile dall'azione dello Spirito, come insegna Francesco, nell'Ammonizione 8 quando afferma: "Dice l'Apostolo: "Nessuno può dire: Signore Gesù, se non nello Spirito Santo", dimostrando così di avere ben presente l'importante affermazione di san Paolo (1 Cor 12,3) che riconduce all'azione dello Spirito il riconoscimento di Gesù come Signore, cioè risorto e vivo.
Possiamo capire meglio l'importanza di questo tema rileggendo l'Ammonizione 1, che descrive due atteggiamenti, quello del vedere e quello del vedere e credere. Francesco afferma  che come i contemporanei di Gesù dovevano passare dal vedere un semplice uomo al vedere e credere che era il Figlio di Dio, così noi oggi, davanti al pane consacrato, dobbiamo passare dal vedere del semplice pane al vedere e credere che è il corpo di Cristo. 
Francesco afferma che questo passaggio, che è la fede, viene suscitato in noi dallo Spirito del Signore: è per l'azione dello Spirito dunque che possiamo riconoscere davvero Gesù in maniera "spirituale". Al "vedere secondo l'umanità" è contrapposto il "vedere e credere secondo lo Spirito e la divinità", dove lo Spirito svolge il suo ruolo; allo stesso modo, alla "vista con gli occhi del corpo" si contrappone il "contemplare con gli occhi spirituali".
Questi "occhi spirituali" non sono solo gli "occhi interiori", quasi che "spirituale" sia sinonimo di "interiore, intimo, profondo"; sono spirituali per riferimento allo Spirito santo, lo Spirito del Signore, e la conoscenza "spirituale" di Gesù Cristo è quella che si attua mediante il suo Spirito.

Il corpo e il sangue del Signore e le sue sante parole
Già il riferimento all'Ammonizione 1 ci ha fatto incontrare con una caratteristica della fede di Francesco in Gesù: quando egli deve parlare di Gesù, spesso si riferisce al sacramento dell'Eucarestia e alle sante parole del Signore. Sembra quasi che Francesco non voglia mai parlare di fede in termini generici, ma scelga piuttosto di far sempre riferimento alle forme specifiche che tale fede assume: l'eucarestia e le sante parole.
Nasce così una importante considerazione: Francesco è consapevole che noi non possiamo "inventarci"  una immagine di Gesù come meglio ci aggrada, ma dobbiamo sempre tenere fermo il riferimento "oggettivo", costituito dalla Parola e dal Sacramento. Non si tratta di un rischio da poco: sappiamo bene che sempre l'uomo religioso è tentato di "costruirsi" la propria immagine di Dio. Francesco, con la sua caratteristica di riferirsi sempre al sacramento del Corpo di Cristo e alle sue sante parole, è modello di un credente che accoglie l'oggettiva immagine di Cristo e non si inventa, a suo piacere, un "amico immaginario" cui dare il nome di Gesù.
Ognuno di noi può chiedersi se, anche per noi, la Messa cui partecipiamo e la Parola di Dio che ascoltiamo riescono a influire sulla nostra immagine di Gesù.

Gesù rivela l'umiltà di Dio
Accogliendo l'immagine di Gesù quale si rivela nell'eucarestia e nelle sante parole, Francesco viene colpito da una caratteristica che egli stesso definisce "l'umiltà di Dio":  "O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane! Guardate fratelli, l'umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori" (LOrd 26-29: FF 221).
Questa umiltà di Dio è il tratto che più ha colpito Francesco nella figura di Gesù, anche al di fuori dei testi con riferimento eucaristico, tanto da poter dire che "il Gesù di Francesco" è quello dell'abbassamento. dell'umile dono di sé, della lavanda dei piedi.
E' il Signore Gesù "che offrì la sua vita per le sue pecore, e pregò il Padre per noi" (2Lf 56: FF 201); di lui Francesco dice che "questo Verbo del Padre, così degno, così santo, così glorioso... dal grembo di Maria ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà" (2Lf 4-15: FF 181-185).
Il Gesù cui Francesco pensa è il "Figlio del Dio vivo, onnipotente, che rese la sua faccia come pietra durissima, né si vergognò, ma fu povero e ospite e visse di elemosine, lui e la beata Vergine e i suoi discepoli" (Rnb 9, 4-5: FF 31), quel Signore che esercita la sua signoria lavando i piedi ai discepoli, in un gesto che ha colpito assai Francesco, che ne parla per indicare il modello del rapporto tra superiori e sudditi.
Bisogna ben sottolineare che l'umiltà e l'abbassamento che ha colpito Francesco resta, tuttavia, l'umiltà di Dio, di Colui che è Dio con il Padre, e che Francesco vede sempre in relazione col Padre e con lo Spirito santo. E' proprio perché colui che si umilia è il Figlio di Dio che il suo gesto di abbassamento assume un significato importante: non si viene colpiti dalla bassezza di quanto è destinato a restare in basso, ma dall'abbassamento di Colui che, per natura, è uguale al Padre. Nel contemplare l'umiltà di Dio, Francesco coglie in un solo, profondissimo sguardo, sia l'altezza che l'abbassamento, sia lo splendore della gloria del Figlio unigenito che la scelta di "minorità" da lui compiuta, nascendo come ultimo e minore tra gli uomini.

La sequela e l'intimità con Gesù Cristo
Una tale immagine di Gesù dà origine allo stile della sequela di Francesco, che si impegna proprio nel condividere la minorità di Gesù. La scelta di vivere "senza nulla di proprio", che caratterizza la vita di Francesco d'Assisi, esprime la sequela di quel Gesù che per noi si è fatto povero. La povertà diventa dunque la capacità di assumere, nello Spirito, il medesimo atteggiamento di Gesù, come Francesco lucidamente afferma nell'ultima volontà scritta per santa Chiara, ormai verso la fine della sua vita: "Io, frate Francesco piccolo, voglio seguire la vita e la povertà dell'altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima madre e perseverare in essa sino alla fine".
L'immagine di Gesù che ha colpito Francesco caratterizza la sua sequela attraverso la scelta di essere fratello e minore, per seguire Lui, che si è fatto nostro fratello e sta in mezzo a noi come colui che serve.
Anche noi potremo seguire l'esempio di Francesco, diventando fratelli minori di coloro che incontriamo.
Tratto da Sant'Antonio
BOLLETTINO DEL SANTUARIO
 DI SANT'ANTONIO DA PADOVA
N.3 LUGLIO-SETTEMBRE 2014
(in distribuzione presso il santuario)

domenica 10 agosto 2014

11 AGOSTO - SANTA CHIARA D'ASSISI - ORARIO CELEBRAZIONI AL MONASTERO DELLE CLARISSE DI GORLA

SANTA CHIARA D'ASSISI

MADONNA DELLA STRAGE DI GORLA
Chiesa del Monastero delle Clarisse

MILANO - ORARI CELEBRAZIONI AL MONASTERO DELLE CLARISSE DI GORLA  - MONASTERO SANTA CHIARA - PIAZZA PICCOLI MARTIRI 3 - MILANO (MM1 - FERMATA GORLA)

Domenica 10 agosto 2014 

ore 17.30: Primi Vespri

ore 21.00: Veglia di preghiera 

 e celebrazione del Transito 

 Chiara d’Assisi 

 un inno di lode 

LUNEDI' 11 AGOSTO 2014
 ore 7.30: Lodi 

 ore 8.00: Celebrazione eucaristica 

 ore 17.30: Secondi Vespri
 
MONASTERO SANTA CHIARA - MILANO 

P.zza dei Piccoli Martiri, 3 

Milano – MM1 Gorla


Le foto sono di Pierina Sistri e possono essere usate liberamente per fini religiosi o culturali

lunedì 26 maggio 2014

FESTA DI SANT'ANTONIO DI PADOVA 2014 - Basilica Santuario S. Antonio - Via Carlo Farini, 10 - Milano


CHI ERA SANT'ANTONIO

Per conoscere meglio sant'Antonio, che celebreremo nella festa ormai vicina, chiediamo l'aiuto del Papa emerito, Benedetto XVI, che nell'udienza generale di mercoledì 10 febbraio 2010 aveva dedicato la sua riflessione a illustrare la figura di sant'Antonio.

Cari fratelli e sorelle, questa mattina vorrei parlare di un altro santo appartenente alla prima generazione dei Frati Minori: Antonio di Padova o, come viene anche chiamato, da Lisbona, riferendosi alla sua città natale. Si tratta di uno dei santi più popolari in tutta la Chiesa Cattolica, venerato non solo a Padova, dove è stata innalzata una splendida Basilica che raccoglie le sue spoglie mortali, ma in tutto il mondo. Sono care ai fedeli le immagini e le statue che lo rappresentano con il giglio, simbolo della sua purezza, o con il Bambino Gesù tra le braccia, a ricordo di una miracolosa apparizione menzionata da alcune fonti letterarie.
Antonio ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della spiritualità francescana, con le sue spiccate doti di intelligenza, di equilibrio, di zelo apostolico e, principalmente, di fervore mistico.

Nacque a Lisbona da una nobile famiglia, intorno al 1195, e fu battezzato con il nome di Fernando. Entrò fra i Canonici che seguivano la regola monastica di sant’Agostino, dapprima nel monastero di San Vincenzo a Lisbona e, successivamente, in quello della Santa Croce a Coimbra, rinomato centro culturale del Portogallo. Si dedicò con interesse e sollecitudine allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa, acquisendo quella scienza teologica che mise a frutto nell’attività di insegnamento e di predicazione. A Coimbra avvenne l’episodio che impresse una svolta decisiva nella sua vita: qui, nel 1220 furono esposte le reliquie dei primi cinque missionari francescani, che si erano recati in Marocco, dove avevano incontrato il martirio. La loro vicenda fece nascere nel giovane Fernando il desiderio di imitarli e di avanzare nel cammino della perfezione cristiana: egli chiese allora di lasciare i Canonici agostiniani e di diventare Frate Minore. La sua domanda fu accolta e, preso il nome di Antonio, anch’egli partì per il Marocco, ma la Provvidenza divina dispose altrimenti. In seguito a una malattia, fu costretto a rientrare in Italia e, nel 1221, partecipò al famoso “Capitolo delle stuoie” ad Assisi, dove incontrò anche san Francesco. Successivamente, visse per qualche tempo nel totale nascondimento in un convento presso Forlì, nel nord dell’Italia, dove il Signore lo chiamò a un’altra missione. Invitato, per circostanze del tutto casuali, a predicare in occasione di un’ordinazione sacerdotale, mostrò di essere dotato di tale scienza ed eloquenza, che i Superiori lo destinarono alla predicazione. Iniziò così in Italia e in Francia, un’attività apostolica tanto intensa ed efficace da indurre non poche persone che si erano staccate dalla Chiesa a ritornare sui propri passi. Antonio fu anche tra i primi maestri di teologia dei Frati Minori, se non proprio il primo. Iniziò il suo insegnamento a Bologna, con la benedizione di san Francesco, il quale, riconoscendo le virtù di Antonio, gli inviò una breve lettera, che si apriva con queste parole: “Mi piace che insegni teologia ai frati”. Antonio pose le basi della teologia francescana che, coltivata da altre insigni figure di pensatori, avrebbe conosciuto il suo apice con san Bonaventura da Bagnoregio e il beato Duns Scoto.


Diventato Superiore provinciale dei Frati Minori dell’Italia settentrionale, continuò il ministero della predicazione, alternandolo con le mansioni di governo. Concluso l’incarico di Provinciale, si ritirò vicino a Padova, dove già altre volte si era recato. Dopo appena un anno, morì alle porte della Città, il 13 giugno 1231. Padova, che lo aveva accolto con affetto e venerazione in vita, gli tributò per sempre onore e devozione. Lo stesso Papa Gregorio IX, che dopo averlo ascoltato predicare lo aveva definito “Arca del Testamento”, lo canonizzò solo un anno dopo la morte nel 1232, anche in seguito ai miracoli avvenuti per la sua intercessione.
Nell’ultimo periodo di vita, Antonio mise per iscritto due cicli di “Sermoni”, intitolati rispettivamente “Sermoni domenicali” e “Sermoni sui Santi”, destinati ai predicatori e agli insegnanti degli studi teologici dell’Ordine francescano. In questi Sermoni egli commenta i testi della Scrittura presentati dalla Liturgia, utilizzando l’interpretazione patristico-medievale dei quattro sensi, quello letterale o storico, quello allegorico o cristologico, quello tropologico o morale, e quello anagogico, che orienta verso la vita eterna. Oggi si riscopre che questi sensi sono dimensioni dell’unico senso della Sacra Scrittura e che è giusto interpretare la Sacra Scrittura cercando le quattro dimensioni della sua parola. Questi Sermoni di sant’Antonio sono testi teologico-omiletici, che riecheggiano la predicazione viva, in cui Antonio propone un vero e proprio itinerario di vita cristiana. È tanta la ricchezza di insegnamenti spirituali contenuta nei “Sermoni”, che il Venerabile Papa Pio XII, nel 1946, proclamò Antonio Dottore della Chiesa, attribuendogli il titolo di “Dottore evangelico”, perché da tali scritti emerge la freschezza e la bellezza del Vangelo; ancora oggi li possiamo leggere con grande profitto spirituale.
In questi Sermoni sant’Antonio parla della preghiera come di un rapporto di amore, che spinge l’uomo a colloquiare dolcemente con il Signore, creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge l’anima in orazione. Antonio ci ricorda che la preghiera ha bisogno di un’atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell’anima, creando il silenzio nell’anima stessa. Secondo l’insegnamento di questo insigne Dottore francescano, la preghiera è articolata in quattro atteggiamenti, indispensabili, che, nel latino di Antonio, sono definiti così: obsecratio,oratiopostulatiogratiarum actio. Potremmo tradurli nel modo seguente: aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio; questo è il primo passo del pregare, non semplicemente cogliere una parola, ma aprire il cuore alla presenza di Dio; poi colloquiare affettuosamente con Lui, vedendolo presente con me; e poi – cosa molto naturale - presentargli i nostri bisogni; infine lodarlo e ringraziarlo.
In questo insegnamento di sant’Antonio sulla preghiera cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l’iniziatore, cioè il ruolo assegnato all’amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza. Infatti, amando, conosciamo.
Scrive ancora Antonio: “La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore” (Sermones Dominicales et Festivi II, Messaggero, Padova 1979, p. 37).
Soltanto un’anima che prega può compiere progressi nella vita spirituale: è questo l’oggetto privilegiato della predicazione di sant’Antonio. Egli conosce bene i difetti della natura umana, la nostra tendenza a cadere nel peccato, per cui esorta continuamente a combattere l’inclinazione all’avidità, all’orgoglio, all’impurità, e a praticare invece le virtù della povertà e della generosità, dell’umiltà e dell’obbedienza, della castità e della purezza. Agli inizi del XIII secolo, nel contesto della rinascita delle città e del fiorire del commercio, cresceva il numero di persone insensibili alle necessità dei poveri. Per tale motivo, Antonio più volte invita i fedeli a pensare alla vera ricchezza, quella del cuore, che rendendo buoni e misericordiosi, fa accumulare tesori per il Cielo. “O ricchi - così egli esorta - fatevi amici… i poveri, accoglieteli nelle vostre case: saranno poi essi, i poveri, ad accogliervi negli eterni tabernacoli, dove c’è la bellezza della pace, la fiducia della sicurezza, e l’opulenta quiete dell’eterna sazietà” (Ibid., p. 29).
Non è forse questo, cari amici, un insegnamento molto importante anche oggi, quando la crisi finanziaria e i gravi squilibri economici impoveriscono non poche persone, e creano condizioni di miseria? Nella mia Enciclica Caritas in veritate ricordo: “L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona” (n. 45).
Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana: il cristocentrismo. Volentieri essa contempla, e invita a contemplare, i misteri dell’umanità del Signore, l’uomo Gesù, in modo particolare, il mistero della Natività, Dio che si è fatto Bambino, si è dato nelle nostre mani: un mistero che suscita sentimenti di amore e di gratitudine verso la bontà divina.
Da una parte la Natività, un punto centrale dell’amore di Cristo per l’umanità, ma anche la visione del Crocifisso ispira ad Antonio pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana, così che tutti, credenti e non credenti, possano trovare nel Crocifisso e nella sua immagine un significato che arricchisce la vita. Scrive sant’Antonio: “Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore... In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce” (Sermones Dominicales et Festivi III, pp. 213-214).
Meditando queste parole possiamo capire meglio l'importanza dell'immagine del Crocifisso per la nostra cultura, per il nostro umanesimo nato dalla fede cristiana. Proprio guardando il Crocifisso vediamo, come dice sant'Antonio, quanto grande è la dignità umana e il valore dell'uomo. In nessun altro punto si può capire quanto valga l'uomo, proprio perché Dio ci rende così importanti, ci vede così importanti, da essere, per Lui, degni della sua sofferenza; così tutta la dignità umana appare nello specchio del Crocifisso e lo sguardo verso di Lui è sempre fonte del riconoscimento della dignità umana.
Cari amici, possa Antonio di Padova, tanto venerato dai fedeli, intercedere per la Chiesa intera, e soprattutto per coloro che si dedicano alla predicazione; preghiamo il Signore affinché ci aiuti ad imparare un poco di questa arte da sant’Antonio. I predicatori, traendo ispirazione dal suo esempio, abbiano cura di unire solida e sana dottrina, pietà sincera e fervorosa, incisività nella comunicazione. In quest’anno sacerdotale, preghiamo perché i sacerdoti e i diaconi svolgano con sollecitudine questo ministero di annuncio e di attualizzazione della Parola di Dio ai fedeli, soprattutto attraverso le omelie liturgiche. Siano esse una presentazione efficace dell’eterna bellezza di Cristo, proprio come Antonio raccomandava: “Se predichi Gesù, egli scioglie i cuori duri; se lo invochi, addolcisci le amare tentazioni; se lo pensi, ti illumina il cuore; se lo leggi, egli ti sazia la mente” (Sermones Dominicales et Festivi III, p. 59).


Tratto da 
Sant'Antonio, Bollettino del Santuario di Sant'Antonio da Padova
Via Carlo Farini, 10 -  Milano
Tel. 02.65.51.145 
numero 2/2014 -  APRILE - GIUGNO
in distribuzione presso il Santuario.


Mezzi di trasporto: Stazione FS Milano Porta Garibaldi, Passante ferroviario Milano Porta Garibaldi, M2 Porta Garibaldi, ATM linee 2, 4,  37, 70 fermata Farini/Ferrari.


sabato 8 marzo 2014

Santa Pasqua 2014 - Verso la Pasqua con San Francesco



VERSO LA PASQUA CON SAN FRANCESCO

Stiamo vivendo i giorni santi della Quaresima che ci conducono alla Pasqua, centro dell'anno liturgico e della fede cristiana. Può essere utile per noi osservare che anche al cuore dell'esperienza spirituale di san Francesco troviamo la Pasqua del Signore. Ciò non può stupirci: se è vero che la Pasqua è il centro della vita cristiana, non possiamo aspettarci di trovare qualcos'altro anche nell'esperienza più profonda e più intima di quei grandi amici di Dio che furono i santi.
In particolare, la vicinanza di Francesco al Signore crocifisso e risorto si manifesta con chiarezza negli ultimi anni della sua vita, quando egli era ormai molto malato e carico di preoccupazioni e problemi legati alla gestione della fraternità che era nata intorno a lui; in questo contesto di sofferenze del corpo e dello spirito, il Signore lo volle rendere partecipe in maniera più intima della propria passione e della propria resurrezione, con il dono misterioso delle stimmate, che Francesco ricevette sul monte della Verna, durante la visione misteriosa di  un serafino crocifisso. Così narra il primo biografo, Tommaso da Celano (1 Cel94; FF 484).


Gli  apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, conflitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo.
A quell'apparizione, il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e  sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.
Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.
Uno dei tratti singolari di questa esperienza mistica di Francesco è il fatto che egli non ebbe  la visione semplicemente del crocifisso, ma di un "serafino crocifisso", o di un "crocifisso in forma di serafino": si tratta di un elemento caratteristico, che ritorna in tutte le testimonianze degli antichi biografi, e che crediamo possa rimandare al fatto che la sofferenza della passione (rappresentata dal crocifisso) non può mai essere disgiunta dalla beatitudine della resurrezione (simboleggiata dalla figura gloriosa del serafino).
Siamo così ricondotti ad un tratto importante della nostra fede: se guardiamo alla Pasqua del Signore, non si può mai considerare soltanto la croce o soltanto la resurrezione, isolare il mistero della morte di Cristo da quello della vita che in lui trionfa: essi si trovano indissolubilmente congiunti, nella vicenda di Gesù come nella vita di ogni cristiano (e anche nell'esperienza di san Francesco). Il mistero pasquale è proprio questa indissolubile unione di morte e resurrezione, di umiliazione e di trionfo, di passione e di gloria: mai l'uno senza l'altro, mai solo uno o solo l'altro. Ricordiamocelo bene: non si può guardare solo alla croce o solo alla resurrezione!
Anche la nostra vita cristiana deve riscoprire la feconda (e spesso difficile!) unione dei due elementi, che sembrano essere così contrastanti: solo in tal modo il nostro soffrire acquista un senso nuovo di resurrezione, ed anche il nostro gioire non rimane nella superficialità di una banale allegria da buontemponi, ma penetra in profondità fino alla gioia profonda e alla pace che nasce dalla pasqua.
Alla Verna, Francesco fa questa esperienza pasquale: è ricondotto al centro della sua fede, cioè alla Pasqua di Gesù, e le stimmate mostrano nel suo corpo i segni di un passaggio che è ben più profondo e interiore, cioè di una pasqua che tocca il centro della sua vita e che è il cuore di ogni vera esperienza cristiana. Se vogliamo trovare una immagine che esprima visivamente questa unità di morte e resurrezione possiamo pensare al Crocifisso di san Damiano: il Cristo è rappresentato in croce, ma vivo, con gli occhi ben aperti e l'atteggiamento serenamente dominatore. In lui si uniscono e sovrappongono l'aspetto del crocifisso e del risorto, ed è bello pensare che anche alla Verna la visione del Serafino crocifisso abbia ricordato a Francesco quell'immagine a lui così cara del Crocifisso di san Damiano, che aveva avuto una così grande importanza nella storia della sua conversione.  Francesco scenderà dalla Verna trasformato, non solo nel corpo ma anche nel cuore, perché così avviene ogni volta che ci accostiamo seriamente alla Pasqua di Gesù. 
Questa esperienza così profondamente pasquale, di morte e resurrezione, Francesco l'ha vissuta nella sua carne e ce la insegna ancora oggi con semplicità: pochi mesi dopo aver ricevuto le stimmate egli compose il Cantico di frate sole, che è la più bella e radiosa espressione di questa spiritualità pasquale. Per capire che anche in quelle parole, splendenti di gioia e di pace, si nasconde il mistero della pasqua di morte e resurrezione, dobbiamo ricordare che egli scrisse il Cantico durante un periodo di particolare infermità fisica, tormentato da una malattia agli occhi che oltre a renderlo quasi cieco e a rendergli insopportabile la luce, gli procurava anche grandi dolori; dopo una notte di particolari sofferenze fisiche, accentuate da una inspiegabile invasione di topi che avevano infestato la celletta dove giaceva, Francesco si rivolse al Signore chiedendo il suo aiuto, e ne ricevette la certezza di possedere il suo Regno.
La gioia per tale assicurazione divina suscitò nel cuore di Francesco le parole del Cantico che ben conosciamo: "Altissimo, onnipotente, bon Signore, Tue son le laude, la gloria e l'onore et omne benedizione... Laudato sie, mi' Signore, cun tutte le Tue creature...".
Sono parole che portano immagini di luce e di gioia (il sole, il fuoco, le stelle) e fa impressione pensare che provengono dalle labbra di un uomo ormai quasi cieco, provato dalla malattia e dal dolore. Ancor più, bisogna notare che la lode gioiosa per le creature si unisce al ricordo di quelli che sostengono "infermitate e tribulazione" e addirittura alla lode "per sora nostra morte corporale". Ancora una volta, nel Cantico di frate sole, ritroviamo le due componenti, indissolubilmente unite: il dolore e la gioia, la croce e la resurrezione. Le parole del Cantico sono le parole di chi ormai ha fatto pasqua con Cristo, che con Lui è stato sulla croce (e le stimmate avevano posto Francesco sulla croce del Signore) ma che con Lui è entrato nella vita nuova della resurrezione. 
E' con gli occhi del risorto che Francesco può guardare il mondo e riconoscerlo bello; è alla luce della pasqua di resurrezione che egli può dire che anche il sole "de Te, Altissimo, porta significazione". Le creature che Francesco contempla sono già i "cieli nuovi e la terra nuova" inaugurati dalla resurrezione di Cristo, contemplati nella luce della gloria perché Francesco è già passato attraverso la passione e la croce. Solo alla luce della Pasqua si può lodare il Signore anche per la morte!
Anche noi, in questi giorni di Pasqua, siamo invitati a far pasqua con il Signore: ad assumere le nostre croci, la nostra passione e infermità, magari la nostra malattia, per viverle insieme con il Signore: ed anche a noi sarà dato allora di gustare la gioia dolcissima della resurrezione, e ci ritroveremo occhi nuovi capaci di vedere la bellezza delle creature, e giungeremo perfino, come Francesco, a cantare "Laudato sie, mi Signore, per sora nostra morte corporale". E quando canteremo così, avremo davvero fatto pasqua.


fr. Cesare Vaiani
Tratto da 
Sant'Antonio, Bollettino del Santuario di Sant'Antonio da Padova
Via Carlo Farini, 10 -  Milano
Tel. 02.65.51.145 
numero 1/2014 -  GENNAIO - MARZO
in distribuzione presso il Santuario.



QUARESIMA E PASQUA 2014
Basilica Santuario S. Antonio di Padova - Milano





domenica 2 marzo 2014

Milano,mercoledì 5 marzo, ore 21,00 - Sulla Via della Croce - Mostra fotografica

Sulla Via della Croce


MOSTRA FOTOGRAFICA

Un percorso che ci guida alla scoperta dei luoghi dove Gesù camminò nei tre giorni della sua Passione.

Una mostra didattica per vivere (o rivivere) il pellegrinaggio a Gerusalemme, nella città in cui il Signore abbraccia la propria croce, morendo e risorgendo per noi; uno strumento pastorale che ha lo scopo di avvicinare i visitatori, piccoli e grandi - attraverso le scritture, l’arte e la storia - alla conoscenza della Passione di Gesù

Le tappe in cui è suddivisa la mostra corrispondono ai luoghi storici - ancora visitabili a Gerusalemme - in cui si consumò, passo dopo passo, il triduo del Signore. Si parte dal Cenacolo, la sala in cui Gesù consumò con i suoi l’ultima cena, per passare al Getsemani, il giardino d’ulivi dove si affidò al Padre, al luogo della flagellazione e della condanna a morte. 
Una seconda serie di pannelli è dedicata alla via crucis, che milioni di pellegrini percorrono ogni anno, al Calvario e al Santo Sepolcro
Ciascuno di questi luoghi viene presentato a partire dalla lettura del Vangelo; l’approfondita descrizione artistica e storica aiuta a cogliere la ricchezza incommensurabile di duemila anni di devozione cristiana.

Mostre di Terra Santa - Sulla Via della Croce

L'inaugurazione della mostra si terrà nel Santuario di Sant'Antonio di Padova, Via Carlo Farini 10 alle ore 21,00.
M2 Garibaldi, Passante Ferroviario, FS Garibaldi, Bus 70, 37, Tram 4,7, 2

Mercoledì 5 marzo (Mercoledì delle Ceneri - inizio della Quaresima -  secondo il rito romano), Santa Messa alle ore 18,30 con imposizione delle ceneri.
Tutti i venerdì di Quaresima, a partire dal 7 marzo, Via Crucis in Santuario alle ore 13,15 e Via Crucis alle ore 17,45 prima della Santa Messa delle ore 18,30.